''LUNGO L'ARGINE DEL TEMPO"

"Ho fatto come il fiume: ho seguito il mio letto": è senza dubbio il Po, amico e fratello di una vita intera, ad accompagnare con lo scorrere delle sue acque le parole di Giuseppe Sgarbi nel libro "Lungo l'argine del tempo. Memorie di un farmacista" (Skira). Il papà di Vittorio ed Elisabetta a 93 anni si mette a nudo con la semplicità di un bambino, raccontando la sua esistenza di farmacista, trascorsa sempre accanto all'amatissima moglie Rina. Il principio è nelle campagne tra Veneto ed Emilia: classe 1921, Sgarbi ripercorre l'infanzia vissuta nel paesino di Stienta, dove la famiglia era proprietaria di uno storico mulino, il primo a essere alimentato dall'elettricità e non dall'acqua del fiume. E' allora che la genuinità e il buon senso della campagna gli sono entrati nel dna. Dopo aver attraversato quasi tutto il '900, l'autore di queste memorie ha davvero tanto da condividere: l'infanzia fascista; la guerra trascorsa tra Grecia, Genova, Ventimiglia e Sanremo; la laurea senza troppa convinzione in farmacia; la passione prima per la caccia e poi per la pesca; la drammatica esperienza dell'alluvione del Polesine nel '51. E poi gioie e dolori, storie, personaggi, curiosità. Una luce particolare si accende quando Sgarbi racconta l'incontro con Rina, "una delle più belle ragazze di Ferrara", che non sarebbe più uscita dalla sua vita, o la nascita di quei due figli "che avevano la stoffa per emergere", il vero orgoglio per lui e sua moglie. Poi c'è l'amore profondissimo per la poesia che "ci mostra i nostri pensieri e ci insegna a pensare", strumento fondamentale "per non perdere mai il contatto con la bellezza ". Perché è la bellezza ciò che Sgarbi tiene sempre davanti agli occhi, come un faro acceso, come qualcosa che rende la vita degna di essere vissuta. Leopardi, il poeta più amato, ma anche Ariosto, Poe, Fogazzaro, Carducci, Pascoli: tanti sono i riferimenti alla perfetta semplicità che solo la poesia, quando è alta e autentica, sa esprimere come poche altre cose al mondo, forse solo come un tramonto sull'adorato Po. Ma andando avanti nel racconto, per Sgarbi c'è spazio anche per il rammarico nel vedere come le "giovani generazioni facciano affidamento sulle nuove tecnologie a scapito della memoria", smarrendo di fatto le proprie radici. O ancora, c'è tristezza per un presente nel quale le nostre vite si dividono e si moltiplicano perdendo di senso, mentre una volta si aveva "uno di tutto: un lavoro, una casa, una famiglia". Più che un libro, questa confessione letteraria sembra uno di quei vecchi racconti che un tempo scandivano le serate davanti al focolare domestico. La scrittura è semplice, a tratti ingenua, ma diretta ed efficace in un tentativo miracoloso di far emergere quell'Italia di provincia, schietta, umile e volenterosa, che è sparita ormai da tempo dal nostro orizzonte.
    Ma quello che più sorprende è proprio il carattere di universalità che sottende ogni pagina. E non importa se quella di Sgarbi è una fotografia dettagliatissima che descrive tutto in un modo così minuzioso che davvero non lascia dubbi su dove ogni cosa debba essere situata geograficamente e culturalmente.
    Eppure ognuno di noi può ritrovare qualcosa di sé, al di là dell'età o della provenienza: è quel sentimento di amore, di orgoglio misto a nostalgia, che rimanda al senso di appartenenza a un luogo, a una casa, a un dettaglio della nostra esistenza.

  GIUSEPPE SGARBI, ''LUNGO L'ARGINE DEL TEMPO. Memorie di un farmacista" (Skira, pp. 150, 15 euro).

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